venerdì 7 gennaio 2022

Jim e i suoi fratelli
















 

Rock and roll robots
da Praga




 

Una manciata di giorni di ferie all'inizio dell'anno. 
L'occasione per esplorare qualche vecchio album di foto.
Qui sotto una rassegna del museo del soldatino allestito vicino al castello di Praga.
Anno 2013

















 

domenica 19 settembre 2021

 Prove tecniche di ritrasmissione 


sabato 31 dicembre 2016

La sfavola della ricostruzione




Siamo nel cuore di una grande e bella città, piena di luci, di traffico ordinato e comodità per tutti. Una città ricca e moderna, con alloggi lussuosi e servizi automatizzati, cibo per ogni palato e trasporti gratuiti. Ogni sera le strade e i locali si animano celebrando gioiose ricorrenze dalle origini ormai dimenticate. I ristoranti si riempiono di avventori desiderosi di sperimentare nuovi sapori e lo stesso accade nelle arene del divertimento che pubblicizzano i loro show con droni volanti. Tra la folla variopinta ed elegante che sciama per le vie principali del centro balenano tanti bianchi sorrisi e calorose cordialità.

Sulle facciate possenti e slanciate dei palazzi danzano le proiezioni roboanti dei consigli per gli acquisti, scintillano di rimando le vetrine piene di prodotti allettanti che si autopromuovono ammiccando ai clienti con trilli e jingle. Treni e bus sono carichi, molti si ritrovano in coda alle casse dei grandi magazzini, ma nessuno si lagna. Gli sguardi del popolo in attesa vengono diligentemente catturati dalle evoluzioni in 3D di personaggi immaginari e famosi. I bambini regolano i loro recettori da collo sulle scaramucce interminabili Tom e Vlady, il topo stelle strisce e l'orso eurasiatico dei cartoni. Sulle banchine delle stazioni gruppi di adolescenti sintonizzano i connettori dei loro orecchini sui live dei cantanti estinti, che aleggiano sui binari si rivolgono direttamente ai seguaci sporgendosi dall'aura di gloria sempiterna. Spingendo quietamente il carrello al fianco della consorte, i mariti si godono il match del momento ambientato da giocatori virtuali direttamente tra gli scaffali del market. Un tocco della cintura basta per passare dal calcio allo sci, dal rock ad un serial fantasy.

La città ha anche una periferia, che non fa rima con degrado, è soltanto una zona più tranquilla dove la gente va a riposare e a cambiarsi prima delle serate in discoteca. C'è una strada in particolare, non molto lontana dalla fermata del metrò, una via illuminata da vecchi lampioni a lanterna, dove i condomini sono tozzi, le pareti di mattoni, scale antincendio di ferro. L'edificio all'angolo ha qualcosa di familiare, pare uscito da un set cinematografico ambientato nella New York della seconda metà  del '900.

Una decappottabile rosa shocking con alettoni in coda, svolta e parcheggia davanti all'ingresso. Prima che il conducente possa scendere, il marciapiede si apre e inghiotte la macchina evitando ogni ingorgo nella strada già sgombra. Pochi istanti e da un foro apertosi nel selciato sbuca la figura di una graziosa ragazza in minigonna e alti stivali bianchi. Dal casco da pilota, sormontato da un paio di leziosi occhialoni protettivi color panna, spunta una lunga coda di capelli biondi. Il suo visetto dal nasino appuntito pare adombrato da pensieri che le disegnano un paio di righe dispettose sulla fronte. Si rassetta inutilmente il lucido tailleur sportivo che fa risaltare le curve del suo corpo ben proporzionato, ma prima di varcare l'ingresso solletica con determinazione il braccialetto al polso sinistro. All'improvviso il vestito cambia: indossa un completo estivo bianco giglio e un cappello a falda larga, alle labbra appoggia un lungo bocchino per sigaretta (già accesa) e lo sguardo viene protetto da cinematografici occhiali da sole strategicamente ornati di brillantini.

Le porte si spalancano per farla entrare, in pochi passi che risuonano nell'atrio vuoto foderato di finto marmo raggiunge l'ascensore con la pulsantiera d'ottone. Era attesa e non ha neppure bisogno di scegliere il piano. La ragazza viene depositata al terzo, percorre il parquet del corridoio con l'agilità dei suoi ventidue anni vissuti in spensieratezza e arriva davanti alla prima porta sulla sinistra. Sta per bussare, ma si trattiene, resta con il pugnetto a mezz'aria. Poi si leva il cappello, rivelando uno chignon nero ala di corvo e tende l'orecchio per cogliere qualche rumore dall'interno. Ma non ha il tempo di sentire nulla.
"Ciao Miriam. Perché non entri?", dice la voce di un uomo oltre la porta.

Miriam esegue l'invito del suo invisibile interlocutore, però gira la maniglia con fare stizzito. Oltre la porta c'è un vasto soggiorno, una sorta di open space con salotto, sala da pranzo e cucina riuniti in un solo ambiente. La parte principale è delimitata da un lungo divano imbottito e tre solide poltrone che si affacciano sul televisore. Proprio davanti all'apparecchio c'è un giovanotto dalla mascella volitiva in canottiera e pantaloncini che la guarda sorridente e intanto pizzica distrattamente la corda del suo arco da caccia. La parete di fronte a lui, quella che dovrebbe ospitare la finestra di casa e uno scorcio del panorama cittadino, mostra invece il fitto di una foresta. Una brezza agita il denso fogliame indicando la presenza di animali in transito tra i cespugli e gli alberi. Ma Miriam non riserva che una rapida occhiata allo scenario imprevisto.
"Perché non rispondi ai miei messaggi?".
"Oh, hai ragione, devi scusarmi ma questa sessione è stata particolarmente intensa. Pensa che ho infilzato anche un cervo...
"Un cervo, dici? Un animale con le corna...
"Ovvio...
"Ma non sarà che queste corna vuoi metterle alla sottoscritta?".
"Miriam, per favore...
"Dorian, per favore... non mentire: ti sei stancato di me? Abbi il coraggio di dirlo! Dimmelo in faccia!
"Ma di cosa stai parlando?
"Parlo di un tradimento!
Dorian fa per parlare ma viene interrotto subito.
"È l'ultima sera dell'anno, abbiamo un tavolo prenotato tre mesi fa la cena al palazzo del ghiaccio e poi il ballo al teatro municipale. Ci aspettano gli amici per l'aperitivo e tu...e tu sei qui a caccia di cervi!!!
Dorian butta l'arco sulla poltrona e muove un paio di passi verso Miriam: "Ti prego non pensare male. Io non ti nascondo nulla, e solo che non mi va...
"Non ti va?? Ma che vuol dire? Se non stai bene posso capirlo, ma te ne stai qui a giocare, che senso ha?
Dorian infila le mani nelle tasche dei calzoncini e stringe le spalle: "Il fatto è che mi sono reso conto che stasera quello che desidero davvero non sono cene, balli e spettacoli, ma semplicemente un po' di tempo per me".
Miriam avvampa e il colorito purpureo sulle guance risalta ancora di più nel bianco del vestito: "La verità è che TU non meriti la mia attenzione. Ma io non intendo farti da stampella quando ti farà comodo. E inoltre stasera non rovinerai la mia festa di fine dell'anno, perciò ti saluto: me ne vado. Non mi vedrai più!
"Non ne sono certo - dice Dorian ammiccando -. Ma non ci vedremo soltanto per un po', il tempo di sbollire la tua rabbia e il mio fastidio.
"Come ti permetti! Io..."
Prima che Miriam possa continuare Dorian sfiora quello che a prima vista sembra il cinturino di cuoio di un comune orologio da polso. L'effetto è istantaneo: Miriam, congelata nella sua ira, svanisce nel nulla.
Dorian alza gli occhi al cielo e decide di andare al mobile bar per farsi un goccio. Mette tre cubetti di ghiaccio nel bicchiere e versa tre dita di scotch.

Bussano alla porta.
"Avanti!" Strilla Dorian con poco garbo.
Apre la porta un'anziana signora dall'espressione severa, anche se la corona di capelli grigi e soffici le da un'aspetto amabile e innocuo. È  vestita di un semplice golfino di lana blu su una camicia gialla con i bordi del colletto arrotondati. Procede con un passo fermo ma misurato, come se fosse su una barca e non volesse perdere l'equilibrio. Si blocca proprio nello stesso spazio occupato da Miriam pochi istanti prima.
L'apparizione muta non turba Dorian: "Oh, sei tu Lia."
"Già... Avete discusso di nuovo" osserva l'anziana usando un tono neutro che però non nasconde una nota di sconforto.
"Oh, avrai sentito. Quando strilla quella riesce a perforare i muri... E anche la mia pazienza".
Lia esplora l'ambiente con occhi azzurri indagatori. Le sopracciglia aggrottate in posa miope accentuano la sua contrarietà, quasi fosse in grado di avvertire nella stanza una forma di disagio non identificata.
"Avevi qualcosa da dirmi?" Fa Dorian giocherellando con i cubetti nel bicchiere.
"Ti dico solo che questa è l'ultima notte dell'anno".
Dorian la fissa per un istante, incerto sulla risposta, poi butta giù un'altra sorsata: "Oh, grazie per l'informazione". Un altro tocco al cinturino ed ecco che parte un samba e il salotto si popola di ballerini dai vestiti scintillanti e piumati. Due ragazze in bikini tempestati di paillettes ancheggiano proprio davanti a Dorian che sfoggia un impeccabile smoking. Solleva lentamente la mano senza bicchiere per accomiatarsi dall'ospite e dalle ombre del malumore: "Buon anno anche a te, Lia".
La signora si volta sulle ciabatte dalle suole consumate e porta la sua espressione poco amena fuori dall'appartamento. Nel corridoio rimbombano i bassi e i cori dei sambisti, ma il chiasso dura poco. Lia estrae dalla tasca del golf una specie di orologio da taschino: tondo, piatto, color argento. Armeggia con la ghiera mobile e la musica si zittisce. Dall'interno dell'appartamento esplode il disappunto di Dorian: "Ehi! Che diamine succede! Dove sono finiti tutti?". Ma la domanda si spegne subito perché Lia da' una nuova regolata e nel corridoio torna il silenzio.

Lia rientra nel suo appartamento avvolto nella penombra creata dalle lampade a stelo negli angoli del salotto. Una sedia a dondolo è sistemata davanti alla finestra che da sul cortile. Una massiccia pila di libri opprime uno sgabello di legno tarlato e altri volumi senza titolo sono sparsi in mucchi su un gran tappeto folto, decorato con onde arricciate, fiori carnosi e navi medievali. Lia lo attraversa evitando le collisioni librarie, spegne le luci in sala ed entra in camera da letto. Fuori si sentono i primi botti che anticipano il conto alla rovescia per il nuovo anno.

Lia indossa il pigiama, toglie le pantofole e si siede sul bordo del letto. Dal taschino della vestaglia tira fuori il suo orologio speciale e lo regola di nuovo. L'eco crepitante dei fuochi d'artificio evapora di colpo. Poi è la volta delle luci degli altri appartamenti del condominio e della strada di periferia. Ma lo spegnimento si diffonde anche in centro. Le insegne luminose volanti planano nell'ombra della notte, i locali pieni di gente ammutoliscono all'improvviso, i grandi palazzi sfilano nell'oscurità che inesorabile si impadronisce dell'intera città. Nella grande macchia buia non resta che una finestra illuminata, quella della camera da letto di Lia.
L'anziana signora si infila sotto le coperte lasciandosi sfuggire una smorfia per via delle lenzuola fredde. È l'ultima notte dell'anno e malgrado i tanti pensieri vorrebbe trovare un po' di sonno, magari un briciolo di riposo con il dono di un bel sogno, perché sa che domani la attende un mondo intero da ricostruire.

mercoledì 27 luglio 2016

Gli Stati Uniti dell'ansia


I giorni della paura sono ormai alle nostre spalle. Viviamo nel precario impero dell'ansia.

Partiamo da Internazionale che pubblica un articolo intitolato "vi racconto la brutta aria che tira a Milano". In breve la cronaca di un incidente: una cittadina fermata e identificata dalla polizia ferroviaria per aver - a suo dire - fatto una semplice domanda dopo aver visto un immigra-barbone-nonsisabenechi allontanato malamente dalla Polfer. 

L'articolo evidenzia il disagio del cittadino di fronte alle forze dell'ordine e soprattutto di fronte ad una restrizione della libertà di movimento per una contestazione non formulata. Che tradotta in altre parole si chiama genericamente "controllo". Infatti alla scrittrice non viene accusata di nulla di specifico, e questo è però il nocciolo kafkiano (perdonami Franz) del suo resoconto. Un racconto giocato sull'impressione del sopruso e sui timori di un abuso percepito più che subìto. Con l'allusione, poco sottile, al fatto di essere donna indifesa in balìa di maschi in divisa. Ma la percezione è una modalità dell'essere, uno sguardo soggettivo intriso d'emozione espresso dall'individuo e pertanto mi pare difficile estenderlo in un giudizio che abbraccia tutto il sistema. Cosa succede a Milano? Gli squadroni della morte si sono infiltrati nella Polfer? Oppure qualche agente aveva i coglioni girati dopo l'ennesima discussione con il randagio di turno? Da qui immagino l'idea del titolo "la brutta aria". Che cosa è quest'aria? Polveri sottili? Ozono? No, si suggerisce poca democrazia. Diritti vacillanti. Gemiti da torture e violenze nascoste dietro l'angolo.

Certo, essere fermati per aver chiesto "che cos'è è successo?" E ricevere in cambio un contro interrogatorio è spiacevole. Ma - ed è qui che si apre la differenza tra un racconto di taglio giornalistico e un racconto da "mio caro diario" - manca del tutto la controparte, il tentativo di una visione di insieme. Se ti importa davvero capire e far sapere cosa è successo ti informi, cerchi altre fonti, torni, chiedi ad altri e soprattutto guardi chi, cosa, come. E poi scrivi. Un articolo-denuncia è fatto di questo. E nella stesura si può anche usare il condizionale per le parti oscure e non chiarite, ma devi essere onesto e spiegare questo è quello che ho visto e sono riuscito a sapere: non è tutta la storia.
Rappresentare un dialogo interiore di fronte all'autorità e a chi la rappresenta (con i suoi limiti e i suoi dubbi) per poi attaccarci l'etichetta dell'aria che tira a Milano (Tutta Milano, diamine), non è denuncia sociale e neppure giornalismo in presa diretta, piuttosto è uno sfogo emotivo che non aggiunge informazione ed evoca soltanto inquietudini vaghe, utili a far crescere la diffidenza, a trasmettere il disagio. 

Si tratta allora di una prova di empatia? Creare empatia sulla notizia? Ma ci vorrebbe una notizia come punto di partenza. E quindi stiamo parlando di arte o informazione?  
E questo ci porta al vero tema, che non è a mio parere l'equilibrio tra diritti e doveri, tra l'essere controllati o schiacciati da chi governa, bensì l'uso dell'ansia. L'ansia che oggi domina la comunicazione - specie quella digitale e televisiva - e crea tempeste mediatiche che hanno sempre più presa nel reale pur mancando di consistenza. Si parte per la guerra santa alla difesa di un'opinione che alla fine non è altro che un'impressione, la storia di un minuto.

Qualche anno fa l'autrice dell'articolo avrebbe parlato dell'episodio ai suoi conoscenti, forse avrebbe scritto una lettera di protesta al giornale raccontando il fatto e innescando un'inchiesta, chiamando qualcuno a rispondere. Oggi magari ha twittato le sue emozioni a caldo ad un caporedattore, ha fatto un post al giro degli amici e le hanno chiesto un articolo. Articolo che, per quanto mi concerne, è una bella mongolfiera: colorata, ma piena d'aria calda. Ed è così che finirà dopo aver fatto il giro del web, disseminando scazzi e reciproche accuse.

Personalmente sono con lei, e comprendo tutto il suo disagio, accentuato dal fatto di essere donna in un mondo che si finge tollerante ed emancipato, invece...(woman is the nigger of the world, cantava Lennon e non abbiamo fatto passi avanti). Posso dire anche che episodi simili sono capitati anche a me: fermato in una strada periferica a notte fonda e scandagliato fino all'ultima attribuzione di punti fragola. Ma una "disavventura" non fa uno stato di polizia.

Quando si incappa in un controllo delle forze dell'ordine la reazione dell'italiano medio di solito non è "fanno il loro lavoro, meglio così, mi sento sicuro", bensì "perché proprio a me? Cosa ho fatto di male? Perdono tempo con me invece gli altri...". Ma naturalmente quando succede il botto, ossia l'accoltellamento, la strage, l'attentato, si levano gli ululati: dove sono le forze dell'ordine? Dove sono i controlli? Siamo nel far west! Invasione! Frontiere chiuse! Bombe atomiche! E via dicendo.
Si viaggia sull'epidermico, sul velo del superficiale tatuato di simboli che non ci appartengono e artificialmente gonfiato da muscoli da parata, che poi è il motivo tanta tensione inutile, tanta adrenalina per nulla, testosterone per chi non può (e non vuole) permettersi la fatica di un ragionamento. I social, e in particolare Facebook, sono inoltre il media ideale per diffondere questo genere di superficialità: messaggi immediati e impalpabili, rapidi nella diffusione e di lunga persistenza. Il motore di tutto ciò non è la ricerca della verità, ma il proliferare dell'ansia. Ansia, la sorella disturbata dell'euforia, giusto due gradini sotto il terrore.

Un tempo giocavo con il concetto degli USA, gli Stati Uniti dell'amnesia, la terra del sogno realizzato perché si nutre di immaginari auto-fabbricati frantumando la storia. Ora siamo oltre, la memoria viene tenuta ben custodita nei server, sepolta sotto tonnellate di dettagli utili nella loro precisione a confondere il senso complessivo delle cose. Il ricordo è stato separato dall'azione perché questa sia libera di ripetere lo sbaglio. La star dei nostri giorni è l'ansia: della perdita, del cambiamento, dell'instabilità e della routine. L'ansia del risultato, della performance, dell'approvazione e del consenso. E' il riflesso della nostra insicurezza interiore e pertanto non potrà mai essere placata finché si vive a pelle, sulla pelle degli altri. 

Benvenuti negli Stati Uniti dell'ansia: la prima e unica (im)potenza globale, divisa nelle reazioni, unita nel disagio.

sabato 19 dicembre 2015

Risvegliatemi quando mi tornerà la Forza



Ci pensato un poco e poi ho scelto. Dove e come guardare il nuovo film di Guerre stellari? In una multisala, stile catena di montaggio? In un cinema d'essai tentato dall'incasso pieno? In versione 3D? Con amici cinefili?

Ho scelto la visione solitaria e in una sala parrocchiale, proprio come accadde nel 1978, quando vidi episodio IV (il primo della saga). Quindi proprio solo non ero, ma circondato da famiglie e soprattutto tanti giovanissimi spettatori che forse per la prima volta vedevano Guerre Stellari al cinema.
Previdente sono arrivato con mezz'ora di anticipo e infatti c'è già fila. Ma non per i biglietti, quella scorre veloce, l'intoppo e' il bar, assediato da piccoli questuanti di patatine, cioccolata e dolciumi a pasta molle, la manna dei dentisti. Per la sopravvivenza del cinema ormai anche questo è parte del core business.

Trovo un buon posto in posizione centrale. Non ci sono sedili numerati e si fa tutto con tattica e cortesia. Noto che le stesse accortezze le hanno altri vegliardi del mio stampo. Tutti in formazione serrata sull'asse centrale, mentre i piccini stavano davanti e i teenagers riottosi distribuiti sulle ali. 

Poche chiacchiere su quel che si vedrà, senza i drammi degli spoiler. Soltanto qualche ripassino tra amici, specie le mogli che confondono l'episodio uno con il quarto, oppure chi ancora non ha digerito la guerra dei cloni. I bimbi davanti sono quieti, ruminano le loro patatine felici della libera uscita. Tra scuola, corsi e sport immagino che abbiano già imparato la dura legge del tempo contingentato. Hanno scelto di stare davanti, avanguardia dello spettatore che si immerge nella visione: lo schermo che li ha accompagnati nei loro primi passi li abbraccia come un grande padre.

I teenagers di cui sopra sono quelli della fascia bassa, sotto i 14, gli altri over sono già raminghi serali in branchi. Il sabato sera non è fatto per seppellirsi al cine, ci sono già piccole avventure da vivere. Nel secolo scorso si lottava per un cinema nelle poltrone di fondo, la zona franca, oggi i giovinetti imberbi son pronti per i disco pub e gli strusci cittadini.

C'è qualche eccezione: coppiette di giovani nerd che certificano il successo di Big bang theory. Nell'aria aleggiano schegge olfattive di Axe, vapori d'acque di gio ed effluvi di minestre e tranci di pizza mal deglutiti per giungere in tempo alla proiezione. Che parte puntuale e senza le incombenze pubblicitarie e le anticipazioni dei prossimamente. Quando i caratteri gialli sul fondo stellato fanno capolino...un tuffo a cuore, lieve lieve. Gli ultimi schiamazzi degli inquieti vengono presto inghiottiti nella visione di una storia fuori dal mondo.

Ed è questo il vero successo del Risveglio della forza. Film che io, con quaranta e passa anni di racconti per immagini alle spalle, posso liquidare come una riuscita frittura mista - in olio per altro ampiamente usato - ma per loro, per i giovani che nelle scene clou hanno incitato gli eroi e hanno applaudito, questa è una pietra miliare: finalmente hanno il loro Star Wars. Anche loro potranno dire, io c'ero. Il passaggio di testimone non sta più nella solita spada laser (che diamine di garanzia aveva...) che vediamo consegnata sul grande schermo, ma nella stretta di una passione che si tramanda dai padri (madri incluse eh) ai figli. 

Il grande spettacolo di Guerre Stellari si è rimesso in movimento, ma da spettatore scafato confesso che ai miei occhi non è più tutta questa "forza". Mi è parso un buon pilot per un robusto serial, con tanti dejavu e pochi stimoli ad una autentica curiosità. La meraviglia, la vera moneta d'oro, non sta in questa galassia lontana, ormai preda di intrighi, cattiverie, ravvedimenti e rivolgimenti come in un qualsiasi paese del nostro pianetucolo.

Buon viaggio Star Wars, e' stato bello sognare insieme, adesso ti lascio ai desideri di chi ha più tempo per perdersi nei meandri del tuo fantasioso mondo, un posto lontano che ricorderò sempre con l'affetto di una vecchia casa dove ho vissuto.